Pubblicato su politicadomani Num 85 - Novembre 2008

Responsabilità personale e bioetica
Il testamento biologico in Italia

La “dolce morte” nell’ordinamento giuridico italiano, fra diritti-doveri riconosciuti dalla Costituzione e Ddl presentati e discussi in Commissione Parlamentare

di Marta Pietroni

Accanto alle posizioni a favore dell’eutanasia da sempre presenti nella storia della medicina, per le quali i medici “donatori di morte”, interverrebbero sia procurando la morte del paziente gravemente infermo (eutanasia attiva), sia lasciandolo morire senza intervenire a sostenerne le funzioni vitali (eutanasia passiva), nella seconda metà del ‘900 si è fatta strada un’ulteriore posizione basata sul principio della autodeterminazione e della autonomia della persona. Questa pone sotto una diversa luce la fondamentale alleanza medico-paziente.
Consulta di Bioetica e “Biocard” (1990); “caso Englaro” (iniziato nel 1999); “Rapporto Oleari” (2000); il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento” (2003); “caso Welby” (2006). Sono queste le tappe di un ventennio di riflessioni in sede legislativa sull’eutanasia.
I disegni di legge presentati in Italia hanno come pilastro il principio dell’autodeterminazione del paziente che, si afferma da più parti, ha come fondamento gli art. 13 e 22 della Costituzione (che prevalgono sulle norme penali quali, ad esempio, l’art. 579 C.P. che punisce severamente l’omicidio del consenziente). Ad essi fa da contrappeso l’art. 2 della Costituzione che garantisce i diritti inviolabili dell’individuo, facendo però riferimento alla solidarietà politica, economica e sociale.
La XII Commissione Permanente Igiene e Sanità del Senato sta lavorando su otto diversi disegni di legge sul cosiddetto “testamento biologico”, al fine di redigere un unico testo. Il dibattito parlamentare in atto è stato preceduto ed accompagnato da diverse vicende, quali l’iniziativa della
La presentazione del primo progetto di legge relativo alle dichiarazioni anticipate di volontà coincide con l’avvio giudiziario del “caso Englaro”: Proposta di Legge n. 5673, “Disposizione in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”, del 1999; e Disegno di Legge n. 4694, del 2000. Nei testi si legge che il rifiuto del malato ad essere curato “deve essere rispettato dai sanitari, anche qualora ne derivasse un pericolo per la salute o per la vita, e li rende esenti da ogni responsabilità”.
Durante la XIV legislatura (2001-2006) sono stati presentati - sulla falsariga di quelli della legislatura precedente - un progetto di legge alla Camera e quattro disegni di legge al Senato. È di questo periodo la ratifica della Convenzione di Oviedo (Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, Consiglio d’Europa, 1997), il parere del Consiglio Nazionale per la Bioetica sulle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”, e l’elaborazione, da parte della XII Commissione Igiene Sanità del Senato di un testo legislativo che è il risultato dell’esame congiunto di tre disegni di legge. Approvato in Commissione nel luglio 2005, il testo non è mai giunto al Senato.
Nella XV legislatura (2006-2008) sono stati presentati 5 Progetti di Legge alla Camera e 8 Disegni di Legge al Senato (cfr. box ).
Tra i profili comuni agli otto DdL troviamo:

  1. le ragioni di fondo che motivano l’autodeterminazione della persona in ordine ai trattamenti sanitari;
  2. la natura vincolante nei confronti del medico e degli operatori sanitari delle disposizioni anticipate rese dal malato;
  3. il concetto che l’incompetenza del malato non è limitata solo allo stato di coma o allo stato vegetativo, ma si estende anche ad altre situazioni;
  4. la rinnovabilità, la modificabilità e la revocabilità delle volontà anticipate;
  5. la previsione della figura del “fiduciario”, il cui ruolo viene regolamentato;
  6. la disciplina delle controversie tra soggetti chiamati a sostituire la volontà del paziente;
  7. la normativa da seguire in caso di inadempimento o rifiuto da parte dei soggetti coinvolti di prendere delle decisioni;
  8. la chiamata in causa di ulteriori soggetti, organismi o istituzioni (diversi a seconda del DdL);
  9. le disposizioni fiscali.

Fine comune è di estendere il diritto al consenso/dissenso informato (“riconoscere il diritto all’autodeterminazione in materia sanitaria anche nel caso della incapacità di farlo valere per un evento sopravvenuto”) svincolandolo dalla concreta situazione patologica o traumatica in cui si pone il problema degli interventi da effettuare: così come un individuo può accettare o non accettare determinate cure quando possiede la capacità di intendere e di volere, nello stesso modo si deve ammettere la sua possibilità di esprimere decisioni che lo riguardano anche nell’ipotesi che, a seguito di un qualunque fatto patologico o traumatico, debba venire a perdere tale capacità.
Inoltre tutti i disegni di legge estendono le disposizioni anticipate anche ad altri aspetti prevedendo che il malato che non può esprimersi possa decidere in anticipo anche sui trattamenti sanitari.
È questo il punto che apre una questione giuridica seria sulla liceità dell’eutanasia omissiva. Tutti i disegni di legge prevedono infatti che le volontà anticipate siano vincolanti per gli operatori sanitari: ciò significa che il medico ha l’obbligo di attenersi alle disposizioni contenute nel documento. Solo tre disegni di legge (nn. 3, 433, 818 del 2006) prevedono che il medico possa disattendere in tutto o in parte le volontà anticipate per inattualità scientifica: e cioè quando le disposizioni anticipate “siano divenute inattuali con riferimento all’evoluzione dei trattamenti tecnico-sanitari”. Ne consegue che l’unico margine di valutazione per il medico riguarda gli aspetti tecnici: gli viene di fatto preclusa la possibilità di valutare egli stesso la situazione in modo più completo, rispetto alla volontà anticipata espressa dal paziente, e, soprattutto, gli viene impedita una qualsiasi valutazione fondata sulla sua coscienza e la sua etica professionale. Solo nel DdL n. 773 si fa riferimento all’obiezione di coscienza per il personale medico-sanitario.
Comune a tutti i disegni è il concetto di incapacità decisionale che, una volta accertata, farebbe “scattare” le volontà espresse precedentemente. In alcuni DdL (nn. 3, 687, 773) tale concetto è esteso oltre lo stato di “coma” e di “stato vegetativo”, includendo anche i casi in cui la capacità decisionale è compromessa solo temporaneamente.
Le maggiori divergenze riguardano la nutrizione/idratazione artificiale (NIA); solo in uno (n. 773) si dice che tali trattamenti “non possono essere oggetto di dichiarazione anticipata”.
Quanto alla cosiddetta “dolce morte”, in ben sei di essei (nn. 357, 433, 542, 665, 687, 818) non c’è traccia della parola eutanasia; due ne parlano per escluderla (nn. 3 e 773). Uno solo, poi, (n. 687) prevede l’obbligo di redigere le direttive anticipate: “ i cittadini sono tenuti a rendere la dichiarazione anticipata di trattamento”, e, inoltre, il Ministero della Salute deve stabilire (fra le altre cose) “termini, forme, modalità con cui le ASL, tramite i medici di medicina generale, sono tenute a richiedere ai propri assistiti la dichiarazione anticipata di trattamento”.
L’idea di base è che fra rispetto della vita e rispetto della libertà individuale, la libertà prevale sulla vita. Libertà, quindi, di scegliere la propria morte, oppure, come talvolta si legge, libertà di disporre del proprio corpo e della propria vita (si fa sempre più spesso riferimento ad un “diritto di morire”). Rimane tuttavia, al di là delle argomentazioni e dispute, il quesito centrale: la vita umana è un bene indisponibile o disponibile? 

Per approfondire
Medicina e Morale. Rivista internazionale di bioetica. Università Cattolica del S. Cuore, Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” - Roma 2007/1, pp. 19-59; 2007/4, pp. 683-690.

 

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